Un giovanotto italiano che, recitando “I Sepolcri”, pronunciasse “il gran padre Ocèano” sarebbe degno di ambire alla mano di una fanciulla colta e raffinata?
Se si rivolgesse questa domanda ad un letterato del Celeste Impero, la risposta sarebbe un “no” categorico e senza appello, stando ai parametri di giudizio fissati nei romanzi del genere detto “cáizĭ jiārén” ( 才 子 佳 人), letteralmente “studenti e belle donne”.
Questo genere di romanzi il cui tema è l’amore tra un giovane studioso ed una bella fanciulla fu molto popolare negli ultimi anni della dinastia Míng 明 朝 e nei primi anni della dinastia Qíng 清 朝. Esso è solitamente ambientato nella cerchia dei letterati ed i protagonisti, sia maschili sia femminili, si distinguono per la loro delicata sensibilità poetica e per il loro amore della cultura. Spesso il giovane studioso ha un rivale ambizioso, ma ignorante, che si finge appassionato di poesia e di letteratura per entrare nelle grazie della fanciulla. I tentativi dell’impostore sono però destinati al fallimento perché ogni volta un piccolo dettaglio, apparentemente insignificante, permette di smascherarlo. Nel “Yù Jiāolì” 玉嬌梨 (1), ad esempio, il terzo incomodo, che ha ottenuto un diploma grazie agli intrighi del padre, si tradisce quando, in visita presso lo zio della bella, legge in modo errato un verso classico che decora un padiglione del giardino.
Ecco la scena.
L’accademico Wú non osò insistere e propose ai suoi tre ospiti di sgranchirsi le gambe visitando un piccolo padiglione che sorgeva nella parte orientale del giardino. Questo padiglione era di dimensioni piuttosto modeste, ma le sue quattro pareti erano decorate di immagini e di calligrafie. Vasi di fiori e piante di bambù ornavano la scalinata d’accesso. Era un angolino raffinato e nascosto, dove il padrone di casa si ritirava a studiare e a meditare in silenzio.
Entrati nel padiglione, gli ospiti ne ammirarono a lungo le decorazioni.
Ad un certo punto l’ispettore generale Yáng e il consigliere Bái discesero la scalinata e cercarono un posto appartato per urinare.(2) L’accademico Wú e il giovane Yáng Fāng rimasero invece a conversare in piedi accanto ad una parete del padiglione.
Alzando la testa, Yáng Fāng notò per caso sulla porta una tavoletta recante un’iscrizione di tre caratteri :” 弗告軒 “.(3) La lesse silenziosamente e rimase un momento assorto a contemplarla.
L’accademico Wú si accorse del suo interesse e gli disse: “Questi caratteri sono dovuti al pennello dell’ambasciatore (4) Wú Yǔbì (5). I tratti sono decisi e vigorosi. Posso dire che era un calligrafo rinomato.”
Yáng Fāng, volendo far mostra di cultura e di gusto, osservò: ”Sono certamente opera di un uomo di talento. Il carattere “xuān” (“軒 “), mi sembra abbastanza normale, ma i due caratteri “fú”(“弗”) e “gào”(“ 告 ») sono scritti in modo superbo”. Non sapeva però che , se “gào” è la pronuncia ordinaria del carattere 告, nel caso specifico, l’espressione 弗 告, che qui intendeva dire “ritirarsi in solitudine”, “non parlare in pubblico”, era una citazione tratta dal “Libro delle Odi”, dove il carattere 告 ha, per esigenze di rima, la stessa pronuncia del carattere 穀 (“gŭ”).(6)
Nel sentir ciò, l’accademico Wú capì subito che il giovanotto che gli stava di fronte era un incolto, ma si limitò a rispondere vagamente: “Avete davvero ragione.”.
Come dice bene il proverbio :
“ Tenere la bocca chiusa salva la faccia.
Difficile distinguere drago e serpente.
Tuttavia, è sufficiente ascoltarne il verso
per capire quale dei due è più ributtante”.
NOTE
1) Il titolo , che significa “Le amabili pere di giada”, fa riferimento agli orecchini di giada in forma di pera molto diffusi tra le donne eleganti di un tempo. La coppia di orecchini simboleggia le due cugine protagoniste della narrazione. Il romanzo fu scritto da Zhāng Yún 張 勻 nei primi anni della dinastia Qīng.
2) Questo dettaglio è omesso nella traduzione francese del 1826, opera di Jean-Pierre Abel-Rémusat, al quale la nozione di decenza allora dominante nelle società europee vietava rigorosamente qualsiasi menzione dei bisogni corporali.
3) Tali caratteri significano letteralmente “padiglione del non parlare”, cioè “padiglione del silenzio” o meglio ancora “padiglione della meditazione”. Non ne do la trascrizione, perché è proprio la diversa pronuncia di uno di essi che assume importanza determinante per il seguito della storia.
4) Il termine 聘君 (“pínyún”) è un titolo onorifico. Poiché il carattere 聘(“ pín”) significava anticamente “essere inviato in missione diplomatica”, ho pensato di poterlo tradurre con “ambasciatore”.
5) Wú Yŭbì 吳與弼(1391 d.C.-1469 d.C.) fu un celebre letterato ed un abile calligrafo.
6) I caratteri 弗 告 appartengono alla seconda ode del quinto capitolo “I Canti di Wèi” ( 衛 風 “wèi fēng”) della prima parte “I Canti degli Stati” (国 風 “guó fēng)) del “Libro delle Odi” ( 詩經 “shījīng”).
L’ode, intitolata 考槃 (“kăo pán”) ha il seguente testo:
考槃在澗,碩人之寬,獨寐寤言,永矢弗諼。
考槃在阿,碩人之薖,獨寐寤歌,永矢弗過。
考槃在陸,碩人之軸,獨寐寤宿,永矢弗告
che è stato così tradotto da Dario Bellotto, nella sua tesi di laurea intitolata “Shijing. Le arie di Wei e di Zheng”, presentata all’Università Ca’Foscari di Venezia, Corso di Laurea magistrale in Lingue e civiltà dell’Asia e dell’Africa mediterranea, nell’anno accademico 2015-2016 (pagg.25-26):
L’Eremo Solitario
Nel ruscello giù a valle ha trovato rifugio, l’uomo imponente, ah, com’è in pace!
Solo si corica, si desta e confabula: Giura che mai scorderà [la sua vera gioia]!
Lassù in quel pendio ha riposto il suo nido, l’uomo imponente è sì rilassato!
Solo si corica, si desta e canta: Giura che mai altro posto vedrà.
In quell’altopiano ha adagiato il suo eremo, l’uomo imponente, assorto in se stesso!
Solo si corica, si desta e riposa: Giura che più parlerà con nessuno [di questa sua gioia].
Ciò che è più rilevante per comprendere esattamente l’episodio narrato è tuttavia la traslitterazione di quest’ode che, secondo la pronuncia attuale del mandarino, ci dà il seguente risultato :
kǎo pán zài jiàn, shuò rén zhī kuān,
dú mèi wù yán, yǒng shǐ fú xuān.
kǎo pán zài ā, shuò rén zhī kē,
dú mèi wù gē, yǒng shǐ fú guò.
kǎo pán zài lù, shuò rén zhī 軸 (zhóu),
dú mèi wù sù, yǒng shǐ fú 告 (gào)
Le numerose variazioni di pronuncia dei caratteri susseguitesi nel corso di quasi tre millenni hanno profondamente modificato il suono e il tono della maggioranza dei caratteri e rendono impossibile a chi non sia un esperto sinologo e filologo ricostruire l’esatta corrispondenza delle rime. È però evidente che, per rispettare la rima con 軸 , il cui suono doveva oscillare tra “zhóu”, “zhòu” e “zhú”, il carattere 告 non poteva essere pronunciato “gào”, ma doveva piuttosto avere un suono simile a “góu”,”gòu” o “gù”.
吳翰林不敢強,遂邀三人過廳東一個小軒子裏來閒步。這軒子雖不甚大,然圖書四壁,花竹滿階,珠覺清幽,乃是吳翰林習靜之處。大家到了軒子中,四下裏觀看了一回。楊御史與白公就往階下僻靜處去小便,惟吳翰林陪楊芳在軒子邊立著。
楊芳抬頭,忽見上面橫著一個扁額,題的是“弗告軒”三個字。楊芳自恃認得這三個字,便只管注目而視。吳翰林見楊芳細看,便說道:“此三字乃是聘君吳與弼 所書,點畫遒勁,可稱名筆。
楊芳要賣弄識字,便答道:“果是名筆。這‘軒’字也還平常,這‘弗告’二字寫得入神。”卻將“告”字讀了常音,不知“弗告” 二字蓋取《詩經》上“弗援弗告”之義,這“告”字當讀與“穀”字同音。吳翰林聽了,心下明白,便模糊應道:“正是。”有詩道得好: 穩口善面,龍蛇難辨. 只做一聲,醜態盡見。